Il filosofo di campagna, libretto, Bruxelles, Boucherie, 1766

 PARTI BUFFE
 
 NARDO contadino detto il Filosofo
 (il signor Carlo Paganini)
 LESBINA cameriera d’Eugenia
 (la signora Angiola Paganini)
 CAPOCCHIO notaro
 (il signor Cristiano Tedeschini, tutti tre virtuosi di sua maestà il re di Prussia)
 
 MEZZI CARATTERI
 
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Gaetano Quilici)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Teresa Eberardi)
 
    La musica è del signor Galuppi detto il Buranello e tutta originale del presente drama, eseguita sotto la direzione del signor Gioacchino Cocchi napolitano, maestro dell’insigne Ospitale degl’Incurabili di Venezia.
    Maestro di ballo il signor Gherardi. Ballerini: mademoiselle Asselin, il signor Gherardi, miss Polly Capitani, monsieur Tariot.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini e LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che cotesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Non così parlereste,
 se il padre vi sposasse con Rinaldo
 e non pensasse a Nardo.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
20Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
 si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah, mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                 Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
25in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
 far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido.
 LESBINA
                                      Sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
30   Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme,
 lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
35Affé la compatisco.
 Questa anche io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
40Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 TRITEMIO
                                          E mi figuro
45che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh, no, signore;
 di questo e di quel fiore,
 di questo e di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
50Le volete sentir?
 TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche strofetta canterò a proposito).
 TRITEMIO
 (Oh ragazza! Farei uno sproposito).
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
55   Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
60gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
65   Son fresca e son bella
 cicoria novella,
 mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
70radicchio invecchiato
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 TRITEMIO
 Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
75Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella.
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh, sentite
 un’altra canzonetta che ho imparata
80sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 TRITEMIO
85Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse
 le direi due parole.
 TRITEMIO
90Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
95Ella ha una figlia.
 TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò,
 se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma mi sprona l’amore...
 TRITEMIO
                                              Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque signor...
 TRITEMIO
                                  Dunque, signor mio caro,
 per venire alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
100M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ah, mi sento morir!
 TRITEMIO
                                       Per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Che speri?
 TRITEMIO
                       Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
105dite perché né men si vuol ch’io speri.
 TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vo’ saper...
 TRITEMIO
                                              Sì, volentieri.
 
    La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
110e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
115un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 RINALDO
120Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 che io soffra un tale insulto,
 che io debba andar villanamente inulto.
125O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani, poi LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno;
140tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 (Eccolo qui. La vanga
 è tutto il suo diletto).
 Se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi, de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
155fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e co’ famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensar a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri; presto
160comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo, io ve lo do;
 lo volete? Vi piace?
 LENA
                                      Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
165a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella,
 povera vanarella.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino,
170mi basta un cittadino. E imito voi.
 Del signor don Tritemio la figliuola
 v’hanno proposta in sposa; io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
175con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio,
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
180abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio;
 vedete, caro zio,
185che io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete, m’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 NARDO
190Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ma piano, signor Nardo;
195vedo che non pensate
 però come parlate.
 Della città il costume
 sprezzaste con filosofa dottrina
 e sposarete poi la cittadina?
200Questo nome sicuro a dirittura
 m’ha cacciato nel corpo
 un poco di paura.
 Ma l’impegno è già fatto.
 Andiam ma no. Si tratta d’una moglie.
205Ma ogniuno che lo sa,
 di me si riderà, se torno indietro.
 Oh che imbroglio! Oh che impaccio!
 Risolvermi non so; sudo e mi agghiaccio.